Se ho già affrontato delle questioni relative ad un archivio fotografico, non ho mai fatto accenni ad un programma per gestire l’archivio fotografico, eppure un programma l’ho usato, a lungo, e l’esperienza è stata determinante, per me. Non darò consigli su un programma da usare (in compenso sono lieto di riceverne), ma indicazioni su cosa non fare.
Si chiama iPhoto, un tempo parte del pacchetto iLife, fornito di serie insieme ad un Mac. Coerente con la logica della semplificazione messa in atto da Apple, iPhoto porta l’utente a focalizzarsi sui contenuti e gli toglie il controllo su faccende triviali come la gestione dell’archivio. Analogamente a quel che accade per iTunes, viene costituita una biblioteca, una scatola chiusa che, apparentemente, nessuno può aprire per accedere al contenuto tramite la navigazione per cartelle, a discapito dell’interfaccia di iPhoto1.
I caparbi potranno sbirciare all’interno della scatola, e li aspetterà la conferma del fatto che la strutturazione del contenuto non è né pensata né utilizzabile per gli uomini.
Spacchettare e per sbirciare dentro ad iPhoto
Il perché appare chiaramente, scorrendo le colonne da destra verso sinistra. I nomi dei documenti, innazi tutto, sono quelli del momento dell’importazione nella biblioteca e non vengono influenzati dai nomi che si possono attribuire agli scatti all’interno dell’interfaccia utente di iPhoto, se in un caso il documento è stato importato dopo che gli avevo attribuito un titolo informativo (Stefano della Bella (1610-1664) - Deux personnes de pantomime, 6,8x9,3cm, plume et encre brune, PM 1778ENSBA), la situazione più comune è di ritrovarsi dei parenti prossimi di DSC_8052.NEF: cercare all’interno di un archivio composto da questo genere di documenti è impossibile senza fare appello al contenuto del documento, il che rallenta significativamente il processo di ricerca.
Secondo fattore da prendere in considerazione è la gerarchia di classificazione: anche qui iPhoto procede autonomamente. A meno non sia stata importata una cartella intera, i documenti vengono conservati all’interno di una cartella che porta una data, all’interno di una cartella anno, basandosi, se disponibili, sui metadati della fotografia: non ostante io l’abbia importata nella biblioteca nel 2010, una fotografia si trova nella cartella 2001, perché è nel 2001 che venne scattata (dal servizio fotografico dell’Ashmolean Museum).
Ma perché infastidirsi con tutti questi dettagli, effettivamente? Perché non servirsi dello strumento che è stato fornito e non preoccuparsi di come lavora?
Effettivamente importa come iPhoto arrangia i contenuti nelle sue viscere informatiche se posso raggiungere il mio scopo tramite l’interfaccia utente, ed a lungo per nulla tenevo in cale tutto ciò. È solo dopo che ho iniziato a preoccuparmene, dopo.
Dopo che mi è capitato questo2.
Andare a vedere i disegni di Stefano della Bella alla Biblioteca Reale di Torino ha richiesto un certo impegno da parte mia: li ho studiati attentamente. Fortunatamente la direzione della Biblioteca è conscia dell’importanza della fotografia per gli studiosi e non ha dimenticato la sua missione prima, il servizio al pubblico, e mi ha permesso di fotografarli. È tollerabile che, a fronte di funzionari efficienti, di ricercatori che si fanno carico di trasferte, sia iPhoto a creare problemi?
Eppure questo è successo: iPhoto ha perso la fotografia. Non una, ma, nel mio archivio di lavoro su Stefano della Bella ben 40 immagini mancano all’appello. Poco più del 2%, su un totale di più di 1900 fotografie, percentualmente risibile, ma comunque assolutamente inaccettabile.
Un problema che è aggravato dalla costruzione della biblioteca di iPhoto: a poco mi servirà percorrere il mio disco fisso e le mie copie di salvaguardia alla ricerca di un documento che porti nel titolo Torino, Biblioteca Reale, visto che iPhoto aveva deciso di ricordare il documento come DSCN_più quattro cifre.
A lungo l’uomo è stato definito come l’animale capace di creare gli strumenti necessari per facilitare il proprio lavoro. Osservazioni del comportamento dei primati, hanno poi reso necessario raffinare i termini del discrimine ed hanno permesso di focalizzare un’altra capacità fondamentale dell’uomo, ossia la capacità di ragionare sugli strumenti di cui esso si serve e perfezionarli nel corso del tempo3.
Ho dovuto farlo. Per rispetto del mio lavoro e della specificità genetica del genere umano. Ho dovuto riorganizzare integralmente il mio archivio fotografico. Un lavoro un po’ titanico che mi ha preso giorni interi, che per certi versi ancora non è concluso, che mi ha fatto perdere le informazioni sulla localizzazione delle fotografie e le note che avevo registrato per ogni immagine (perché iPhoto non salva queste informazioni insieme alla fotografia).
La premessa non è allettante, me ne rendo conto, comunque, se anche voi volete rivedere l’organizzazione del vostro archivio, potete seguire i principi che ho già esposto sui nomi dei documenti, sulla gerarchia della classificazione, sulla doppia classificazione, sulla possibilità di rivederne gli elementi4.
Chi volesse sottrarre alle grinfie di iPhoto le proprie immagini può servirsi di alcuni programmi a questo scopo come ImageArchiver for iPhoto (Shareware, 10 dollari statunitensi), iPhoto to Disk (Shareware, 12,95 dollari statunitensi), che io ho usato senza avere bisogno di acquistare la versione completa, o iPhoto to Picasa Web Albums (versione dimostrativa, 19,95 dollari statunitensi): queste informazioni sono il frutto di una breve ricerca su MacUpdate incentrata su iPhoto export.
E dopo, come fare? Le fotografie, quando non è possibile farlo direttamente tramite il Finder, le importo con Anteprima.
L’opzione è attiva quando è collegata una macchina fotografica, ovviamente (una Fotocamera, ma perché la maiuscola, poi?)
Spesso navigo tra le cartelle con il Finder, talvolta apro ancora iPhoto: ho ricostruito una libreria importando tutto il mio nuovo archivio, ma con una precauzione.
Ho frenato l’appetito divoratore di iPhoto dalle preferenze (cmd , )
Una soluzione che è comunque un ripiego non soddisfacente: iPhoto costruisce un alter ego della biblioteca fotografica, e lavora su quello, il che introduce uno iato tra ciò che si visualizza e la banca dati.
Come dicevo all’inizio, cerco ancora il programma giusto. Una cosa è certa: vista la testimonianza di Tristan Nitot non userò Picasa.